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Lettere, carezze e caffé

Matilde cammina in un luogo affollato: le persone chiacchierano in capannelli incuranti di lei e di ciò che succede loro intorno.

Raccontare un sogno da svegli è sempre impreciso, ciò che si percepisce nella realtà onirica ha regole inaccettabili in altre realtà.

Il racconto che Matilde fa a sé stessa di ciò che successe in quel luogo la intriga per le possibilità che percepisce e arrabbiata per la facilità con cui cede alla speranza, all'illusione che questo sogno diventi un tassello importante in un futuro immediato.

Gli occhi di Matilde riconoscono solo una persona: Arturo, è insieme a altri, chiacchiera, forse…

Matilde si accorge che nonostante tutti stiano chiacchierando lei non ha sente niente. L’audio nel suo sogno non è contemplato. Si vede che le persone parlano, non fanno altro, ma non li sente. Matilde realizza da sveglia i particolari, le incongruenze che nel sogno non aveva messo in discussione, che nel sogno aveva accettato come dati di fatto.

Matilde si avvicina all’uomo, non troppo ma abbastanza per chiarire che è lì che vorrebbe stare. Gesto audace e sconsiderato come scrivere un messaggio usando messenger: non hai bisogno di conoscere il numero di telefono per rientrare nella vita di altri. Le fischiano ancore le orecchie quando ripensa alla risposta secca e inequivocabile che Arturo le aveva scritto alcuni anni prima.

Matilde si allontana da quel gruppo di persone, deve prendere la posta nella cassetta delle lettere. Davanti a lei ci sono altri in coda, attende, quasi rallenta, non ha fretta. La sensazione di volere aspettare, in questo momento è più importante che scoprire se e cosa potrà mai trovare in quella cassetta. Giunto il suo turno si avvicinano in due, Matilde cede il passo a quella donna: il tempo dell’attesa è più importante, si ripete e con un sorriso si scosta.

La chiave, la serratura e la cassetta sembrano tutti fatti di legno. La forma e il modo che utilizza per aprire quella cassetta paiono a Matilde tanto reali e corretti nel sogno quanto irreali ora che se lo racconta, che se lo ripassa nella mente.

La cassetta aperta mostra una quantità di lettere spropositata e nessuna pubblicità: vere e proprie lettere scritte a mano, alcune spesse. Matilde gira lo sguardo verso destra: Arturo è di fianco a lei. Non parla, la guarda solamente. Matilde istintivamente sa che tra quelle una è sua, l'uomo vuole essere certo che lei capisca quanto è importante. E come è venuto così se ne va: nessun bisogno di parlare. Un gesto fondamentale a volere dire: “Io ci sono, sono qui anche se non mi vedi, anche se non ci sentiamo più. Anche se mi sono trasferito in un’altra città: la Città Eterna. Eterna come probabilmente resterà la sua assenza.

 

Matilde aspetta che la caffettiera faccia il suo dovere. Il rumore del caffè che sale è il segnale di spegnimento: la quantità che uscirà è minore, ma il suo sapore è prezioso, non va allungato.

Prezioso come un sogno che strappi dall’oblio.

Amaro come la realtà di ciò che sai non potrà avverarsi.

Bollente come una coperta sul cuore ferito.

Nero come la notte che inghiotte i desideri senza mai annullarli.