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Intervista a Franco Vanni

La calma di una mattina al lago viene turbata da due colpi d'arma da fuoco e da un grido: un cardellino segue la scena prima di riprendere il volo.

 

D. Franco Vanni giornalista e scrittore: raccontaci di te.

 

R. Sono nato a Milano, dove ho studiato e dove lavoro. Non sono mai stato lontano dalla città per più di tre settimane a fila, ed era il mio viaggio di nozze. Da ragazzino facevo il barista, e ho cominciato nei giornali scrivendo recensioni di locali notturni. Da diciassette anni – ne ho 36 – mi occupo di cronaca: città, politica locale, nera, giudiziaria e adesso sono passato allo sport. Nel tempo libero, solitamente la mattina molto presto, scrivo romanzi gialli, in cui metto la mia passione da lettore e quello che ho imparato delle persone in tanti anni di cronaca.

 

D. Il caso Kellan è stato un successo: questo è il secondo romanzo con Steno Molteni, giornalista al settimanale La Notte. Come nasce il tuo protagonista? Ti assomiglia?

 

R. Steno mi somiglia, certo, ma è molto più fortunato di me. Vive in albergo, quindi ha sempre il letto fatto e la colazione pronta. Guida una vecchia Maserati Ghibli del 1970, oggetto meraviglioso che io non potrei mai permettermi. E soprattutto ha dieci anni in meno di me! Quello che invece Steno mi invidierebbe, se ci conoscessimo, è una moglie eccezionale e un bambino di due anni, Giorgio, che è un grande. La vita sentimentale di Steno è un bel po’ più incasinata …

 

D. Filippo Corti è la vittima, non spoileriamo niente visto che si trova già cadavere nelle prime pagine del romanzo, ma di lui si parla in tutto il libro. La sua personalità è forte e il suo fascino non lascia indifferenti. Poi raccontaci il tuo incontro con lui?

 

R. Filippo Corti è il cattivo e il vero protagonista del libro. Muore subito, quindi la descrizione del personaggio avviene a ritroso, in base ai ricordi delle persone che lo hanno conosciuto, a partire dai tre amici che si trovavano con lui a bordo della barca su cui è stato ucciso. Amici che, inevitabilmente, sono anche i principali sospettati dell’omicidio.

 

D. Bellagio e Milano sono due luoghi che descrivi nel dettaglio: strade, natura, persone, leggende. Come decidi quali location per le tue storie?

 

R. Milano la conosco bene, nelle strade e nell’anima. La conosco anche più di quanto vorrei, visto che da anni sono pagato da la Repubblica, il mio giornale, per raccontare la città in tutti i suoi aspetti. Bellagio è un amore più recente: ci andavo a nuotare, nel lago, e ci sono arrivato tante volte al termine dei miei viaggi in bicicletta. È un luogo bellissimo e tranquillo, come la campagna inglese descritta dalle scrittrici britanniche di gialli classici nel Novecento. Il posto ideale dove ambientare un delitto.

 

D. In questo romanzo ho contato circa una ventina di animali tra pesci, uccelli, mammiferi, insetti: il cardellino è l’unico testimone della morte di Filippo Corti. Hai una passione per il mondo animale?

 

R. Sono pescatore e amo la montagna. Ho sempre ammirato e studiato gli animali selvatici. Mio figlio, come scrivo nella dedica, mi ha poi insegnato a guardare i cani. Ne va matto. Nelle nostre passeggiate in giro per il quartiere me li indica entusiasta dicendo “bau”. Osservando i cani, stimolato dal mio senso di avventura, ho cominciato a studiare i comportamenti del lupo, da cui il cane discende. Ho letto molti libri sul comportamento del branco, e da lì mi è venuta in mente la trama del mio giallo. Filippo Corti è un maschio alfa e viene ucciso da uno, o più d’uno, dei suoi gregari di branco.

 

D. Maserati Ghibli del 1970 guidata da Alberto. Auto e autista così diversi eppure sono sempre insieme. Ci parli di loro?

 

R. Non sono appassionato di auto, ma ho studiato Disegno industriale. La Ghibli è un’icona di bel disegno italiano, progettata negli anni del boom economico e creativo del nostro Paese. Alberto, senzatetto che vive in strada, già nel romanzo Il caso Kellan fa il favore a Steno di sorvegliarla, dormendo di fianco a dove lui la parcheggia. In questo secondo romanzo della serie, fa di più: si mette alla guida. Eppure, continuando a vivere di elemosina, non vuole essere pagato per questo servizio. Guidare per Steno è la sua passione.

 

D. Il glicine è simbolo della luminosità e anche della caducità della vita. Hai aperto il sipario di questa storia attraverso lo sguardo che il vecchio pescatore rivolge ai grappoli viola che incontra ogni mattina quando va a pescare. Nonostante il delitto il romanzo conserva una calma atavica, il ritmo segue le onde del lago. Sei d’accordo?

 

R. Assolutamente. Da forte lettore di vecchi gialli, mi sono accorto che il contesto in cui avvengono i delitti è quasi sempre molto quieto: la villa vittoriana nel giorno dopo di una festa, la collina scozzese al risveglio della primavera. E lo schema funziona: quanto più quieta è la quiete iniziale, tanto più sconvolgente è il delitto che la spezza.

 

D. La regola del lupo: da quale scintilla è nato questo romanzo e come lo hai scritto: di getto, facendo molte ricerche, a mano, direttamente a computer?

 

R. Io non prendo mai appunti scritti per i miei romanzi. Fisso le idee con dei disegnini, che faccio da quando ero piccolo. Trovo che prendere appunti sia vincolante, e si finisce poi per seguire lo schema che si è fissato sulla carta, che non sempre nel procedere del percorso creativo si rivela essere il migliore. Immagino la storia solo a mente e poi, quando sento che la trama è matura, scrivo tutto di getto. La scintilla per questa storia – come è evidente già dalla copertina – me la ha data lo studio dei comportamenti dei lupi in branco, che ho trasferito nelle vicende di quattro persone.

 

D. Steno Molteni è un giornalista che si affaccia con discrezione, quasi timidamente nella vita dei famigliari delle vittime: stessa tecnica anche nella vita reale?

 

R. Assolutamente. Mi sono occupato di molti omicidi, come cronista, e sono convinto che il lavoro del giornalista di fronte al lutto altrui debba piegarsi al rispetto della sofferenza dei propri interlocutori. Non ho mai apprezzato l’approccio del cronista “d’assalto” nel raccontare storie di sangue e non penso nemmeno che sia il più efficace da un punto di vista della raccolta di informazioni. Secondo me il giornalista, quando si occupa di tragedie, non deve mai dimenticare che si trova di fronte a persone, non a oggetti di lavoro.

 

D. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

 

R. Da pochi giorni ho cambiato settore. Passo allo sport e mi occuperò dell’Inter. Per me è una sfida completamente nuova e molto affascinante. Dovrò conoscere il mondo del calcio che ho sempre e solo visto dal di fuori, e questo mi richiederà un impegno totale. Per almeno un paio di anni non scriverò romanzi. Quello che continuerò a fare, invece, è leggerne tantissimi, ogni volta che avrò il tempo di farlo. Quest’anno sto leggendo molti romanzi scritti da donne italiane contemporanee, presto mi piacerebbe leggere i classici russi, che non ho mai affrontato. Sono sicuro che le letture mi aiuteranno anche nel lavoro. D’altra parte lo diceva anche l’allenatore José Mourinho: “Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”.

 

 Ringraziamo l'autore Franco Vanni per avere risposto alle domande.