Intervista a Gianluca Pirozzi

Come un Delfino - L'Erudita (è un marchio di Giulio Perrone Editore

 

D - Chi è Gianluca Pirozzi?

R - Sono nato a Napoli dove ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza, trasferendomi a Roma per frequentare l’università. Dopo molti anni trascorsi all'estero sono ritornato a vivere in Italia da più di dieci anni. Ho scritto e pubblicato molti racconti, alcuni premiati nell'ambito di rassegne letterarie nazionali e inclusi in diverse antologie. Miei libri sono: Storie liquide (2010), Nell'altro (2012) e Nomi di donna (2016), quest’ultimo è uscito in Spagna col titolo Nombres de mujer (2018). Come un delfino è l’ultimo romanzo pubblicato recentemente.

 

D - Com'è nato questo romanzo?

R - Dal desiderio di “giocare” con la mia memoria e con quella delle lettrici e lettori. Penso, infatti, che nessuna persona non potrebbe nemmeno camminare o parlare senza memoria, ma abbiamo anche bisogno dell'oblio perché se avessimo una memoria perfetta non potremmo pensare. C'è un racconto di Borges, in cui c'è un uomo che ha una memoria incredibile, ma è completamente stupido. Non può ragionare perché ragionare vuol dire dimenticare delle cose. Viviamo in un'epoca strana in cui la memoria è stata sacralizzata e questo è molto pericoloso. Non c'è niente che sia sacro, nemmeno Dio. La memoria non è sacra, deve essere sottoposta alla critica perché chi ricorda si può sbagliare. Dunque, riallacciandomi a quello che dicevo prima, ho voluto scrivere un romanzo in forma autobiografia di fatti non accaduti o non completamente accaduti così da giocare con la mia memoria e metterla alla prova.

 

D - Le parole che non spiegano: Vanni è all'asilo e sta aspettando Tea quando assiste alle domande insistenti di una piccola compagna di classe:

“Dov'è la tua mamma?”

“Io ho due papà”

“Tutti hanno la mamma, la tua è morta?”

“Io ho due papà”

È sempre difficile raccontare scelte diverse?

R - Non credo che sia difficile spiegare le scelte se esse sono dettate dall'amore. Difficile è, talvolta, avere la capacità di ascoltare le risposte e di accettare di avere risposte diverse da quelle che ci aspettiamo e, in chi risponde, non sottrarsi agli interrogativi.

 

D - Trasferirsi per lavoro in un altro paese è un’occasione per conoscere persone differenti, si creano nuove opportunità d’incontro. Trovarsi bene ovunque è davvero possibile?

R - Credo che viaggiare sia stata la scoperta che abbia inciso più d’ogni altra sulla mia vita adulta. Ha sicuramente avuto quell'effetto amplificante che speravo avesse quando, all'università, decisi di trasferirmi da Napoli a Roma. Da allora ho viaggiato moltissimo per lavoro soprattutto, e anche se non ne tiro fuori una storia, nessun viaggio è mai sprecato.

L’esperienza di vivere all'estero ha avuto su di me l’impatto più forte. Non è solo l’immersione in lingua e cultura straniere ad avere quest’effetto, sono anche l’alienazione e la necessità di rivolgersi a sé stessi per strade nuove che possono radicalmente alterare chi sei.

Quando vivevo a Skopje – ma lo stesso è accaduto per il Belgio, per l’India o per la Colombia, in paesaggi e culture a me completamente aliene, avevo la sensazione di imparare sempre qualcosa di nuovo. Andare a fare la spesa, per esempio, mi insegnava ogni volta qualcosa – semplice come una parola nuova o significativa come la maniera in cui i genitori trattano i figli che si lagnano mentre stanno in fila alla cassa – e questo è qualcosa che non c’è, che non provo qui in Italia. Mi piace definirli «i momenti del supermercato», e cioè che ogni ora di ogni giorno è un’opportunità per imparare, un’occasione per acquisire un certo tipo di conoscenza che non stavo cercando in modo specifico ma che comunque avrà un impatto sul mio mondo.

Tutti i vari tipi di trasformazione che vivevo stando quegli anni in Macedonia o per quattro anni in Belgio, sarebbero arrivati comunque prima o poi. Ma uno scrittore che parte, che vive per un periodo all'estero è come un’orchidea in una serra: tutto ciò che deve avverarsi si avvera, e nell'ordine stabilito. Soltanto, tutto succede molto, molto più rapidamente.

 

D - Ci sono luoghi che hanno il potere di farci sentire protetti, luoghi che sciolgono il dolore. Sono luoghi visti in lontananza, trovati per caso; non c’è razionalità solo puro istinto: questi luoghi interagiscono con il lato emozionale. Qual è il suo?

R - Ho sempre pensato a quanto viene affermato in questa domanda e che è diventato sempre più vero per me come individuo oltre che come autore al punto che ho voluto inserirlo in una parte di questo ultimo romanzo. Ed è la parte in cui Vanni, il protagonista spiega ad Amandine, la sua amica che, appunto “Quando trovi il tuo posto, lo sai e basta: è tuo, la mente lo riconosce ed è capace di farvi ritorno in qualsiasi momento. Io il mio primo posto l’ho trovato a quattro, forse cinque anni. È un ricordo netto, preciso. È stata un’esperienza che non ho più potuto dimenticare. Il mio primo posto era un angolo di terreno sotto il muro di tufo che delimitava il confine del parco vicino al quale abitavo da bambino.”

 

D - Amicizia, amore, complicità: questi temi sono declinati lungo tutto il romanzo. Cosa rappresentano per lei?

R - In breve e in una sola parola, la vita.

 

D - In casa di Vanni ci sono foto di autori, artisti, attori: sono il ricordo di incontri avvenuti nel passato. Lo stesso titolo del romanzo è preso da una poesia di Silvina Ocampo. Quali sono i suoi autori preferiti?

R - Ci sono molti scrittori che hanno avuto una grande influenza su di me. Ciò che ricerco o che mi esalta di più è quando lo scrittore percepisce profondamente il pathos dei personaggi e le situazioni che si esprimono nelle frasi, nello stile. Virginia Woolf e William Faulkner vivevano gli stati psicologici dei personaggi su cui scrivevano e non solo li trasferivano in quel tempo o nella scena, ma letteralmente nelle frasi. Penso che oggi ci riesca lo scrittore irlandese William Trevor, scrive dei racconti in maniera sottile. Lo stesso Saul Bellow ha fatto lo stesso con un personaggio come "Herzog". Sono molti gli autori che mi hanno segnato, ma più i libri che gli autori stessi, penso ancora a Foster, Fitzgerald, Borges, alla Austen, Dickinson e tanti altre e altri ancora che sarebbe difficile elencare.

 

D - Cambiare impiego quando questo non è più giusto per noi e un lusso per pochi o è una consapevolezza che tutti dovrebbero avere?

R - Non sempre è possibile, ma forse dovremmo imparare a comportarci pensando che questo è possibile.

 

D - I cervi compaiono all'improvviso, incrociano lo Sguardo di Vanni. Animale ricco di simbologia, ha il potere di illuminare la nostra interiorità facendo emergere i pensieri più profondi: è un intermediario tra conscio e inconscio. Ha mai incrociato uno sguardo come quello?

R - Sì e non lo dimentico… talvolta può accadere in sogno.

 

D - Progetti per il futuro?

R - Alcuni a cui sto tentando di dar vita, ma al momento la maggioranza delle energie è dedicata all'ultimo nato, Come un delfino, ed è giusto che sia così.