Intervista a Mario Petillo

JAMES HOOK

Il Pirata che navigò in cielo

di Mario Petillo

edito Scatole Parlanti

 

D – James Hook è un uomo sanguigno, elegante, con un passato pieno di lacune. Non ci sono molte biografie, forse un paio. Lo stesso James Matthew Barrie ha cercato tracce di lui antecedenti Neverland scoprendo che per un certo periodo è stato uno studente di Eton e ha vissuto per un po’ in casa di una zia al cui interno si trovano tracce di lui. Almeno fino a oggi. Chi è James Hook per lei?

 

R - Non esistono biografie ufficiali, dato che l’unico che avrebbe potuto produrla è James Matthew Barrie: l’autore inglese ci aveva fornito solo tre indicazioni, tra cui per l’appunto l’esser stato uno studente di Eton e nostromo di Barbanera. Per me James è un simbolo, così come il mio romanzo vuole essere una metafora della vita di tutti i giorni. Potrei quasi dire che la vicenda con Peter Pan non è altro che un pretesto per raccontare una storia che è declinabile in qualsiasi altro modo possibile e nella vita di tutti i lettori. Un po’ come quando Strindberg scrisse il suo “Verso Damasco” e il protagonista si chiamava “Lo sconosciuto”, proprio per esaltare il simbolismo della vicenda. James siamo noi, con i nostri traumi, con le nostre paure, con i nostri problemi e con il nostro desiderio di combatterli e uscirne vincitori. Pur essendo, mestamente, vinti da qualcosa di più grande.

 

D – Una notte Peter Pan irrompe nella vita di James Hook, fino a quel momento erano due ragazzi con progetti e aspettative diverse: ognuno inseguiva i propri sogni. Ma uno strattone interrompe quelli di James. Caso, disgrazia o correzione di rotta verso un destino migliore?

 

R - Peter Pan è l’inesorabile, l’imperscrutabile che colpisce la nostra vita nei momenti più inattesi. Non sono un appassionato di fato e destino, non credo nella fortuna, né nel soprannaturale: so che il caso è equo e allo stesso tempo riconosco che ci sono eventi sui quali non sempre abbiamo pieno potere, come una malattia, una concatenazione di effetti sui quali noi incidiamo solo in minima parte. Ecco, Peter Pan è proprio quell'effetto, è proprio quell'attimo che non possiamo controllare nella nostra vita. Il suo intervento nella vita di James risponde a questo simbolo: è difficile dire, infine, se può essere una correzione. Certo è che se non fosse intervenuto Peter Pan lui non sarebbe mai diventato Hook e forse di James M. Turner non avremmo mai raccontato nemmeno un singolo giorno della sua vita.

 

D - Ricorda James, c’è qualcosa di terribile in ognuno di noi e chi non è costretto a scoprirlo è un uomo fortunato. Noi questa fortuna non ce l’abbiamo: siamo pirati.

Temo che l’abisso interiore non colpisca solo i pirati, nel suo libro s’intravedono quelli di Peter Pan e sembrano più oscuri. Cosa ne pensa?

 

R - Ho amato scrivere ogni singola linea di dialogo di Barbanera, un personaggio che avrei voluto caratterizzare in maniera molto più approfondita e al quale avrei voluto dare ancora più spazio. Questa è tra le mie preferite, oltre al suo sproloquio con Israel Hands quando ricorda tutti i soprusi subiti negli anni precedenti. L’abisso interiore che si nasconde in ognuno di noi è costante, ineluttabile. Teach prima di essere pirata è stato un corsaro, poi ha scoperto cosa albergava nel suo cuore e non è riuscito a vincerlo: non voleva, semplicemente. James decide di fare lo stesso quando diventa Hook e non è un caso che lui, così come il suo mentore, perda la ragione proprio nel momento in cui perde il proprio cognome in favore di un soprannome, così come Teach sprofonda nell'oscurità del proprio cuore quando diventa Barbanera.

 

D – Il tempo è indifferente a tutti, scorre inesorabile ovunque ci si trovi anche se a Neverland si mostra benevolo con Peter Pan e i bambini sperduti e terribilmente antipatico e dispettoso verso James Hook e i suoi pirati.

Com'è il generale tempo nei suoi confronti?

 

R - Nei miei confronti il tempo è impietoso, lo è da sempre. Provo a correre più in fretta di lui, ma è stancante. Come me, James non lo teme, ma ne riconosce l’invincibilità e l’impossibilità di combatterlo. Io se potessi lo dilaterei a piacimento quando necessario, perché ne vorrei molto di più, ma contestualmente dovrei poter desiderare molte più energie e forze per gestire una giornata di 36 ore. Quello che possiamo fare, e che un po’ ha fatto anche James, è rendersi conto che non abbiamo più tempo per fare cose che non ci va di fare, per citare anche un maestro di vita come Jep Gambardella.

 

D - Ci parli della Mortuary Sword, aneddoti, leggende e storie curiose.

 

R - Sono un ex schermidore, ho tirato di spada per quattro anni ed è stato uno dei miei più fervidi desideri quand'ero piccolo e non avevo ancora l’età adatta per approcciarmi a questo sport. È sicuramente tra le attività che più mi pento di aver interrotto prematuramente, ma la vita è fatta di scelte, bivi e sliding doors. Non potevo quindi non focalizzarmi almeno un po’ sulla spada di James, così come ho provato a mettere nel suo clavicembalo il mio breve passato da violoncellista. La mortuary sword era una spada utilizzata dalla cavalleria del Regno d’Inghilterra, quella comandata da Oliver Cromwell fino al 1670. Smette di essere in uso trent'anni prima la nascita di James, ma un nostalgico come Starkey non poteva non tenerla con sé. È una lama lunga un metro e ha una guardia a mezzo cesto, che si intreccia come dei rovi sull'impugnatura, quasi come se fosse un fioretto vecchio stile. La chiamano così perché questa guardia richiama un po’ una gabbia dalla quale non si può evadere, ma che allo stesso tempo può sembrare una gabbia toracica. Qualcun altro dice che venisse usata da Carlo I per decapitare i propri avversari. Non so se la storia ce ne abbia lasciate in eredità qualcuna, ma una è sicuramente nel museo di Leeds ed è per l’appunto quella appartenuta a Oliver Cromwell.

 

D – Quando ha deciso di scrivere un romano su James Hook e perché? Può raccontarci come ha organizzato il lavoro: ha fatto ricerche, ha letto libri?

 

R - Ero a Tokyo, a Disneyland e mi si avvicinò una maschera di James Hook. Era felice, allegra, sfoggiava il suo uncino come se fosse un tesoro inestimabile. Accompagnato dalla genuinità e dall'essere un po’ naïf che mi accompagnava quando avevo 23 anni circa, mi domandai cosa avesse da sorridere, vista la sua vita non proprio da imitare o invidiare, se non forse per le sue avventure. Ci ho ragionato qualche giorno, ho letto il Peter Pan di Barrie e mi sono reso conto che da nessuna parte si trovasse una risposta a come James fosse arrivato all'Isola che non C’è. E quindi sa, l’unica cosa che mi è sembrata logica fare era raccontarne la biografia e riabilitarne la figura agli occhi del pubblico. Come d'altronde fece Walt Disney con George Banks in Mary Poppins, che - mi perdonerà il fuoripista - è da sempre il mio film preferito, in assoluto.

Ovviamente un lavoro del genere poteva essere o dozzinale, quindi completamente di fantasia, o storicamente valido. Ho mappato la città natale di James, nei pressi di Londra, non troppo lontana da Eton e da Bristol, ho calcolato bene la data di nascita basandomi sulle indicazioni di Barrie, ho cercato di farlo rientrare nella linea temporale di Barbanera e una volta individuata la città ci ho trascorso una settimana intera, nell'estate del 2017. Avevo con me un libro sulla storia della pirateria e un taccuino per gli appunti. Il sindaco di Crowthorne mi mise a disposizione una stanza della biblioteca comunale per leggere tutti gli scritti storici del luogo, andando oltre l’orario di chiusura dell’edificio. Poi a me è toccato setacciare tutta la città, misurare i passi, il tempo di percorrenza, i luoghi, immaginare come fosse quel posto 300 anni prima la mia visita. Poi ovviamente ho cercato di visitare Eton, invano, ma l’ho vista da fuori, l’ho costeggiata, ho visto James viverla. Ho ristabilito l’ordine con l’immaginazione, insomma. Vorrei rifarlo domani stesso, come se fosse la prima volta, per rivivere quella fase di ricerca e di studio che è vera passione per qualcosa che si sta facendo.

 

D – James Hook è il pirata che ha trovato il modo e la strada per andarsene e tornare a Neverland senza l’aiuto di Peter Pan. È davvero l’unico a esserci riuscito o ci sono stati altri casi?

 

R - Chi può dirlo? Non sappiamo Neverland da quanto esiste e non sappiamo nemmeno come si faccia ad arrivarvici. Tra l’altro, a esser precisi, da Neverland nessun pirata se n’è mai andato: James era solo un ragazzino quando trovò il modo. È quindi possibile che solo i puri di cuore possano in qualche modo ritrovare la strada di casa. Forse i bambini sperduti potevano farcela allo stesso modo, ma magari non volevano.

 

D – La scontro tra James e Peter non si risolverà mai in modo definitivo?

 

R - Temo proprio di no. Per quanto accecato dall'ira, James non lascerà mai scoperto il fianco e allo stesso tempo Peter ha oramai preso quella sfida come un gioco, al quale non vuole sottrarsi. Provo tenerezza per il James Hook di Spielberg, con Williams nei panni di Peter Pan: la vittoria di quel James era, d'altronde, il credere che Peter fosse invecchiato e avesse quindi perso la sua battaglia con l’eterna giovinezza, con le fate, con l’ecosistema di Neverland. Ma in realtà come si può risolvere la battaglia tra bene e male? È infinita.

 

D – James Hook un pirata suo malgrado, un ritorno a Neverland per mantenere una promessa fatta alle fate, lo studio a Eton prematuramente interrotta: un uomo che ha sempre dovuto reinventarsi per andare avanti. Un uomo dei giorni nostri, cosa ne pensa?

 

R - Sì, come detto all'inizio James è uno di noi, James siamo noi. Prendete un normale ragazzo o ragazza che in giovane età finisce per essere costretto a cambiare i propri piani per un evento esterno alla propria volontà, per un trauma, per un evento extra ordinem: prova a lottare per tutta la vita e finisce per essere succube di quella lotta. L’ho semplificata, è chiaro, ma così avrete un James dei giorni nostri. La post-fazione al libro è proprio un messaggio a tutti quelli che si sono rivisti in Hook: andate a prendere Peter Pan.

 

D – Quali sono i suoi progetti per il futuro?

 

R - È in lavorazione la mia prima graphic novel: romanzerà e racconterà la fase di produzione di Fantasia da parte di Walt Disney, con Leopold Stokowski e Deems Taylor. Disney raccontò la musica con l’animazione, io vorrei raccontare con i disegni la musica. Ovviamente io seguirò solo la parte di scrittura, dal soggetto alla sceneggiatura, compresi i dialoghi, ma i disegni saranno seguiti da una disegnatrice molto brava che è già attiva sulla lavorazione dei personaggi. Ho anche una bozza per un secondo romanzo, totalmente opposto a James Hook, ma è talmente ancora embrionale che se ne parlerà più avanti.

 

Ringrazio l’autore per avere risposto alle domande.