La Verità a pagina 31
di Paolo Cioni
Le foto dell'autore sono di Nino Saetti
D - I luoghi sono importanti, decidono quali storie raccontare, quali personaggi mostrare. La tua dove l’hai incontrata?
R - Sicuramente sulla via Emilia. Spesso le idee mi vengono guidando. Mi piace guidare, guardarmi attorno, ascoltando musica che così diventa la colonna sonora del film che sta scorrendo sul parabrezza. Mi vengono in mente tanti film in cui questo accade, per esempio in Daunbailò di Jarmusch, con la voce di Tom Waits che scava nel profondo e la Louisiana in bianco e nero che scorre sullo schermo. Così accade anche nel mio film personale. E questa volta, forse più di altre, la storia viene proprio di lì, dalla via Emilia, dal “Village” - dove vive Raimondo, il personaggio attorno a cui ruota il romanzo - che è un posto che esisteva davvero ma non si chiamava così. Ci andavo a cercare mobili usati quando stavo mettendo su casa, e lì c’era un personaggio che mi ha sempre affascinato, immerso fra scatoloni e cataste di tappeti tarlati, sempre intento a spostare un tavolo per metterlo al posto di un armadio. Il tavolo su cui sto scrivendo l’ho trovato lì. E un pezzo della storia era già scritta.
D – “Ennio Fortis s’infilò la giacca e fece un salto in libreria. Gli piaceva starsene fra gli scaffali mentre il negozio era chiuso. Dai libri arrivava un odore di polvere e solitudine e mistero che lo faceva sentire bene.” Una vita tranquilla che a causa dell’arrivo di un libro, un semplice tascabile degli anni ’60 intitolato Angeli, prende una strada particolare. Quali svolte hai apprezzato di più nella tua vita?
R - L’idea di un libro che cambia la vita mi ha sempre affascinato. A volte accade con un disco, oppure con un film. Il mio libro – mi diverte sempre raccontarlo – è stata l’Enciclopedia del Rock di Nick Logan e Bob Woffinden, tradotta da Fabbri nel 1978. Quindi sono un altro a cui il rock’n’roll ha salvato la vita, se non altro dal grigiore e dalla noia.
Seconda svolta la rivista Experience. Esce nel 2004 e va avanti per 12 numeri. Lavorare su quella mi ha insegnato molto e mi ha aperto la strada per il mondo dei libri, come autore e come editore. Ma ce ne saranno altre, sono sicuro.
D - La telefonata di Raimondo apre la porta a un passato che per otto anni è rimasto in silenzio: “In un modo misterioso, Raimondo stava per avvolgermi nelle sue spire. Con la sua comparsa le cose si misero lentamente in moto. In seguito lui stesso sostenne di aver avvertito una lieve scarica elettrica, lì nel silenzio dell’ufficio, come se tutte le lampade al neon del soffitto si fossero spente e riaccese in una frazione impercettibile di secondo.” È un personaggio che non lascia indifferenti per la capacità di vivere la sua vita in modo particolare all'interno di un mondo che ha ritmi e idee molto diverse. È un uomo che si fa memoria di un progetto ambizioso che non ha mai visto la luce, ma che ha conservato con cura. È il passato che si fa presente e che organizza il futuro. Per te chi è Raimondo?
R - In parte Raimondo esiste davvero, è un mio amico e non si chiama così. Nelle storie, non solo nelle mie, c’è sempre qualcosa di vero. In questo caso solo una parte, ma una parte decisiva. Quando i mie amici più stretti – che poi sono amici comuni - hanno letto la prima stesura del romanzo lo hanno subito riconosciuto, e qualcuno si è preoccupato, temendo che potesse trovarci qualcosa di sgradevole. Io ero sicuro di no. E avevo ragione. Si è innamorato del romanzo, e insieme abbiamo continuato a sviluppare sogni bellissimi, che poi né lui né io portiamo mai a termine.
D - “Gli angeli sono fra noi e camminano in punta di piedi. Non mostrano mai le ali, e di solito compaiono quando meno te lo aspetti, magari seduti sulla panchina di un parco, oppure nella sala d’aspetto di una stazione. Di rado ti rivolgono la parola, ma se accade, tu non sei più lo spesso”. C’è stato un angelo così anche per te?
R - Sì. Più di uno. Sono fortunato. Ma è una questione talmente personale che quello che mi sento di dire è già nel romanzo. Attenzione che a volte gli angeli durano una stagione, poi qualcosa si guasta e la vita toglie leggerezza anche a loro. Bisogna essere pronti e tempestivi per coglierne la magia.
D – Rizzoli è un uomo con un’eleganza impeccabile tutto il contrario di Ennio curiosa la scena che si svolge nella cabina armadio. Il loro è un rapporto fatto di match di tennis, d’incontri in libreria, di sintassi nelle relazioni e soprattutto di racconti di fatti personali: Rizzoli era un buon ascoltatore, almeno secondo Ennio.
Come si sono conosciuti?
R - Sono opposti che si attraggono. Uno ammira l’altro proprio per la sua specificità. Ennio anche se lo nega vorrebbe essere elegante ma non ce la fa, Rizzoli vorrebbe i sogni di Ennio, e si confida con lui quando la sua perfezione si incrina. Si sono conosciuti al banco della libreria, quale posto migliore? Le librerie - almeno quelle più belle - sono punti d’incontro.
D - La musica in questo romanzo è sempre presente, declinata in molti modi, inizia con un concerto per telefono a otto squilli, prosegue con le parole di Blue di Joni Mitchell, Bill Evans, Nina Simone, il sax struggente di Dexter Gordon, il suono prolungato di un cancello identico alla tromba di Chet Baker fino ad annullarsi del tutto nel silenzio della pianura: lo stesso che rievoca i fantasmi nascosti in ognuno di noi. A quale musica ti rivolgi quando il silenzio che hai dentro incomincia a urlare?
R - La mia musica è al 90% anglo-americana. Da lì sono partito per arrivare alla mia letteratura, che è al 90% angloamericana. Jazz, rock, folk, country, blues. Il Jazz per le ore piccole, il rock quando è ora di far tremare i muri, il folk per il messaggio sociale e poetico al tempo stesso, il country perché piaceva e piace a mio fratello, il blues perché quando mi stanco di tutto riparto sempre di lì, da Muddy Waters e Howlin’ Wolf. Per il restante 10% è sudamericana, francese, e in piccola parte italiana. Per questo nei miei romanzi ci finiscono sempre il punk, Elvis oppure Dexter Gordon. Chissà se per Paolo Conte prima o poi ci sarà spazio. Se lo meriterebbe.
D – “Adele comunque svanì nel nulla. Nessuno sapeva dove fosse andata, nessuno aveva notizie, e intanto il ricordo di quella notte lentamente sbiadì. A volte sembra che il trascorrere del tempo sia la cosa migliore per seppellire le passioni, le paure e i rimorsi, ma non è così. Restano lì, in attesa di un finale.” Adele è la moglie di Raimondo e la donna che Ennio non ha mai dimenticato.
“E poi pensai al mio piccolo terrazzo e ai fantasmi là fuori nel buio, ad Adele. Non so bene quando, ma avevo deciso che l’avrei cercata.” Una storia d’amore con tante pagine bianche ancora da scrivere oppure la parola fine è… a pagina 31?
R - È una cosa che scrivendo mi ha tenuto col fiato sospeso. Si ritrovano alla fine? Succede qualcosa? La storia prosegue, questo è chiaro, ma c’è un accenno in un punto del romanzo in cui si lascia intuire che prima o poi si perderanno di nuovo. È solo un accenno, e forse il lettore può interpretarlo a suo piacimento. È giusto così: credo che il dopo debba essere sempre lasciato al lettore, tanto che mi hanno sempre deluso i sequel.
D – “Il Documentario si apriva con un lungo tratto di strada ripreso dal finestrino dell’auto, con un cielo nuvoloso che sembrava una catena di montagne azzurre, e poi un raggio di sole improvviso che le divideva come una lama. C’erano le fabbriche grigie e allineate e improvvisamente i filari di pioppi, c’erano paesini che sembravano abbandonati, distributori di benzina, insegne e parcheggi per camion che sembravano carovane. Erano le immagini a fare il grosso del lavoro, ma in mezzo a quelle c’erano le parole dei nostri personaggi, seduti in poltrona sullo sfondo dei campi assolati.” Un progetto ambizioso per la mole di storie che comporta. Una futura raccolta di vicende lungo la Via Emilia raccontate da chi crede in angeli, fantasmi e spiriti alcolici… Una strada che mette i brividi, attraversarla e percepire sospiri e mezze frasi, racconti che vengono taciuti… Cosa hai percepito quel giorno in cui hai creduto di sentire quella voce che appartiene a un passato che pensavi sepolto?
R - Ecco, vedi? Questa è la scena di Jarmusch, ma non solo sua, a cui accennavo prima. L’idea mi affascina tanto che il documentario lo vorrei fare davvero. Sentire quella voce, come dici tu, è facile in fondo, basta mettersi sul ciglio della strada e ascoltare. Se fai parlare le persone ti raccontano cose bellissime, e non vedo l’ora di farlo. In questo sono sempre stato bravo, ascolto, butto lì qualche domanda qua e là, e le persone si confidano. Tempo fa il mio avvocato mi ha raccontato di essere uno sciamano. Sul serio. Ha studiato, ed ha una sorta di patente da sciamano. Ma fa l’avvocato. E se non ascolti con attenzione non te lo racconta.
D – Gli opposti come i vestiti di Rizzoli e quelli di Ennio; la casa di Raimondo e quella di Rizzoli; i progetti importanti e gl’intoppi della vita; il buon senso e la caparbietà. In questo romanzo molti sono gli opposti che si fronteggiano e non sai mai quale riesce a sopravvivere: in alcuni casi vince la cocciutaggine in altri gli ostacoli che tolgono il respiro e le forze. A quale dei due “mostri” dai più da mangiare?
R - Vince sempre la perseveranza. Se ti dicessi che la prima stesura di questo romanzo era già pronta prima che uscisse il mio primo romanzo per Feltrinelli? Sulla mia scrivania per anni ho avuto un foglietto su c’era scritto “ricordarsi di tenere duro”. Tutti quelli che lo leggevano si mettevano a ridere. Adesso il foglietto non c’è più, ma io l’ho imparato a memoria.
D – Quali sono i tuoi progetti futuri?
R - Devo decidere a quale romanzo dedicarmi. Come sai sono rimasto fermo per anni, ma non ho mai smesso di lavorare, per cui ho due o tre cose su cui vorrei mettere la parola fine, e una tutta nuova che ho cominciato a scrivere di getto un paio di mesi fa, perché un mio amico mi ha confidato che… no, fermiamoci qui. Questa te la racconterò quando sarà il momento.
Grazie per avere risposto alle mie domande