· 

Chiacchierata a Monk's House

 

Paola Bonzanini è un'appassionata lettrice di Virginia Woolf: conosce l'intera opera, ne aveva fatto a suo tempo la sua tesi di laurea. Ho chiesto a lei di raccontare di Virginia, dell'importanza che ha la sua scrittura ancora oggi e dove farla se non a Monk's House?

 

D - Virginia Woolf: una continua ricerca stilistica per riuscire ad esprimere “la vita vera”. Autrice di rottura, la sua narrazione differisce dai romanzieri più famosi dell’epoca.

 

R - Nel saggio Mr Bennett and Mrs Brown, pubblicato nel 1924, Virginia Woolf esprime tutta la sua insoddisfazione e la sua insofferenza nei confronti dei romanzieri più famosi dell’epoca edoardiana, soprattutto Arnold Bennett. La “Mrs Brown” del saggio è la personificazione della natura umana: “Mrs Brown is eternal. Mrs Brown is human nature” (Mrs Brown è eterna. Mrs Brown è la natura umana). Compito del romanziere dovrebbe essere quello di osservare e ritrarre fedelmente Mrs Brown. Ma, osserva la Woolf, gli edoardiani (né gli scrittori ottocenteschi che li hanno preceduti) non sanno vedere Mrs Brown, non riescono a penetrare nel nocciolo della vita e della natura umana: nei loro romanzi, la scintilla di vita che dovrebbe essere nei personaggi è soffocata dalla gran massa di dettagli secondari e descrittivi; la visione della vita è adulterata dal tentativo dell’autore di adattare il materiale narrativo a un criterio di verosimiglianza.

Gli scrittori edoardiani e ottocenteschi hanno utilizzato nei loro romanzi delle convenzioni, utili strumenti che permettono allo scrittore e al lettore di incontrarsi su un terreno comune, ma che non sono più validi per la nuova generazione di scrittori, di cui Virginia Woolf fa parte. È dunque necessario gettare alle ortiche quelle vecchie convenzioni che ormai non svolgono più il compito di facilitare la comunicazione, ma anzi costituiscono un’inutile zavorra, un impedimento.

Le convenzioni del romanzo, la trama organizzata cronologicamente e la presentazione tradizionale dei personaggi e degli eventi, secondo Virginia Woolf impongono un ordine artificiale alla varietà e al flusso dell’esperienza e della coscienza, e sono del tutto inadeguate a descrivere la vita.

 

D – The Common Reader e l’ipotesi de “Lo scrittore libero e non schiavo”.

 

R - Virginia Woolf nel 1925 scrive nel saggio The Common Reader, “se lo scrittore fosse un uomo libero e non uno schiavo, se potesse scrivere quello che vuole e non quello che deve, se potesse basare il suo lavoro sulla sua sensibilità e non sulle convenzioni, non ci sarebbero intrecci, né commedie, tragedie, storie d’amore o catastrofi nello stile tradizionale … La vita non è una serie di lampioni disposti simmetricamente: la vita è un alone luminoso che ci circonda dall’inizio della coscienza sino alla fine. E il compito del romanziere non è forse quello di comunicare questo spirito variabile, sconosciuto ed indefinito, qualunque aberrazione o complessità esso possa manifestare, con la minore mescolanza possibile di elementi estranei ed esterni? Non stiamo solo perorando la causa del coraggio e della sincerità, stiamo suggerendo che la vera materia della narrativa è qualcosa di diverso da ciò che la consuetudine ci vorrebbe far credere” (traduzione di P. B.).

 

D – Virginia Woolf e la scrittura sperimentale – The proper stuff of fiction.

 

R - “The proper stuff of fiction” è, per Virginia Woolf, la vita stessa, l’esperienza del vivere. Woolf non è interessata a descrivere il multiforme spettacolo della commedia umana, non le interessa l’avventura dell’uomo nella società. Ciò che più la interessa sono le esperienze semplici e fondamentali della vita: l’amore, la felicità, la solitudine, la morte. La scrittura di Virginia Woof è un atto conoscitivo: un’esplorazione della vita interiore; un’esplorazione della vita e della realtà, quella “realtà” che sta dietro alle cose e dà un senso alle esperienze frammentarie della vita.

 

Virginia Woolf rifiuta le tradizionali convenzioni di metodo e di contenuto, e per tutto il corso della sua vita di scrittrice si applica ad elaborare una forma narrativa che le sia congeniale e che le permetta di esprimere la sua visione della vita. Allo scopo di “inventare una forma completamente nuova”, si dedica ad una continua sperimentazione. Dalle pagine del suo diario appare chiaro che ogni romanzo implica un nuovo approccio, una nuova tappa nella ricerca espressiva.

D – I romanzi di Virginia Woolf.

 

R - I primi due romanzi, The Voyage Out (La Crociera, 1915) e Night and Day (Notte e giorno, 1919) sono scritti nella forma e nello stile del romanzo tradizionale inglese. Prima di impegnarsi nella creazione di una forma narrativa originale, Virginia Woolf vuole cimentarsi in quella tradizionale.

Jacob’s Room (La stanza di Jacob, 1922) è il suo primo romanzo sperimentale. Il lettore segue la vita di Jacob, dall’infanzia alla morte, attraverso una serie di episodi salienti: l’immagine del protagonista si riflette nelle menti delle persone che lo circondano, e questo gioco di specchi contribuisce a creare il ritratto di Jacob.

Mrs Dalloway (La Signora Dalloway,1925) e To the Lighthouse (Gita al faro, 1927) costituiscono ulteriori passi in avanti nella ricerca stilistica di Virginia Woolf. In Mrs Dalloway, la scrittrice riesce ad eliminare completamente la voce di un narratore onnisciente che racconta e commenta dall’esterno: il narratore è all’interno della mente dei personaggi, i cui pensieri, emozioni e percezioni vengono comunicati direttamente al lettore, nel momento stesso in cui attraversano al coscienza dei personaggi.

Questi romanzi non raccontano una storia, intesa come svolgimento lineare di eventi culminanti in uno scioglimento finale. La trama non ha un andamento cronologico: il tempo della narrazione è il tempo presente, nel quale viene integrato anche il passato.

La vicenda di Mrs Dalloway si svolge tutta nell’arco di una giornata; la narrazione si sposta di volta in volta del presente di una giornata di giugno a Londra, al passato rievocato dai personaggi nel loro flusso di coscienza.

The Waves (Le onde, 1931) è il romanzo che maggiormente si discosta dalla tradizionale tecnica narrativa realistica. In questo romanzo, l’azione è inesistente. Libera dalla necessità di imbastire una trama, di creare dialoghi e descrivere ambienti, Virginia Woolf può dedicarsi a descrivere l’esperienza del vivere attraverso l’ininterrotto monologo interiore di sei personaggi, che ci vengono presentati nelle varie fasi della loro crescita, dall’infanzia alla vecchiaia.

 

D – Virginia Woolf invita il lettore a entrare nella storia, a camminare di fianco ai personaggi, ad ascoltare le conversazioni.

 

R - I quattro romanzi meglio riusciti di Virginia Woolf, Mrs Dalloway, To the Lighthouse, The Waves e Between the Acts (Fra un atto e l’altro, 1941), hanno in comune alcuni artifici stilistici. In ognuno di questi romanzi viene presentato un ristretto gruppo di persone, la somma delle cui esperienze, fittamente collegate tra loro, dà al lettore l’impressione d’insieme. Il ricorrere di un certo numero di immagini, frasi e simboli contribuisce inoltre ad unire queste esperienze in un tutto omogeneo.

La Woolf elimina qualsiasi voce narrante esterna che si ponga come diaframma tra il lettore e la coscienza dei personaggi, ma non si limita ad un unico punto di vista. Si propone di muoversi da una mente all’altra, di mostrare i diversi modi in cui un’unica realtà può essere percepita da diverse coscienze, e di comunicare l’impressione prodotta da un individuo sugli altri; il carattere del personaggio viene rivelato sia dai suoi momenti di autocoscienza, che dal modo in cui la sua immagine si riflette nelle menti delle persone che lo circondano. Questa “onniscienza selettiva multipla” prevede tanti punti di vista quante sono le menti via via messe a fuoco.

Virginia Woolf si propone di creare nel lettore l’illusione di un contatto diretto con i personaggi, colti immediatamente in un momento qualsiasi della loro esistenza. In realtà, non c’è nulla di casuale in tutto ciò: è anzi un approccio che implica da parte della scrittrice una severa selezione delle esperienze, dei rivelatori momenti di vita da mostrare al lettore. Woolf non concentra la sua attenzione su quelle che tradizionalmente sono considerate le tappe fondamentali della vita di un individuo (nascita, innamoramento, matrimonio, carriera etc.), ma su quei rivelatori momenti di vita che non sono funzionali allo sviluppo di una trama, ma acquistano importanza in quanto gettano luce sulla vita emozionale e la coscienza dei personaggi.

 

D - Moments of being: momenti dell’essere e del non essere.

 

R - Secondo Virginia Woolf, nell’incessante fluire della coscienza, di tanto in tanto emergono i “moments of being”, momenti dell’essere, attimi di grande intensità di visione, in cui passato e presente, io e non-io, interno ed esterno si integrano armoniosamente. In questi momenti, fugaci ma reali, l’individuo ha una intensa percezione della realtà, e coglie l’unità che sta dietro alle esperienze frammentarie dell’esistenza. (Volendo trovare parallelismi, i moments of being hanno qualcosa in comune con le “epifanie” di James Joyce).

Virginia Woolf ha spiegato con molta chiarezza e dovizia di ricordi personali la sua concezione dei moments of being nel saggio autobiografico “A Sketch of the Past”, scritto fra il 1939 e il 1940, e pubblicato per la prima volta nel 1976, nella raccolta di scritti autobiografici intitolata Moments of Being”.  Virginia Woolf distingue tra il non-being (non-essere) che per la maggior parte del tempo avvolge l’individuo come ovatta, ottundendone la percettività, e i “moments of being”, in cui l’individuo riceve uno shock e percepisce acutamente la realtà. La scrittrice racconta che da bambina le accadeva di avere questi improvvisi momenti di rivelazione. Da bambina questi momenti le procuravano soprattutto un senso di angoscia. Da adulta, invece, grazie a una maggiore capacità di razionalizzazione, Virginia sente che questi momenti sono preziosi.

La capacità di provare ancora queste scosse e di elaborarle razionalmente, è ciò che spinge Virginia Woolf a scrivere. Scrivendo e cercando di tradurre in parole questi momenti di percezione, Virginia conferisce loro un significato, e li rende reali. L’analisi di questi momenti la porta ad elaborare una sorta di filosofia, basata sull’idea che dietro l’ovatta delle apparenze esista un disegno unitario, e che tutti gli esseri facciano parte di questa globalità. Il valore di questi moments of being è indipendente dall’oggetto che è servito da catalizzatore; queste intense percezioni possono essere provocate anche da stimoli apparentemente banali, come, ad esempio, la vista di un fiore. Nei suoi romanzi, scene ed immagini che inizialmente possono sembrare scelte in maniera arbitraria, in realtà fanno parte di un disegno, la cui unitarietà e coerenza vengono rivelate man mano che il romanzo procede. Anche la capacità di Virginia Woolf di creare scene di straordinaria vividezza deriva da questa sua facoltà di vedere la realtà e di immortalare nella scrittura i momenti di visione.

Nei romanzi di Virginia Woolf, i personaggi più interessanti sono quelli che di tanto in tanto riescono ad entrare in contatto con la realtà che sta dietro l’ovatta. In questi momenti in cui il self individuale entra in comunione col tutto, i confini della personalità sfumano e si fanno meno definiti. Per questo motivo i personaggi woolfiani sono entità fluide, complesse, non circoscritte; non è possibile descriverli riassumendone le caratteristiche con poche formule fisse. Accanto a queste figure appaiono anche personaggi ritratti in modo più tradizionale, con linee precise; si tratta perlopiù di figure secondarie, la cui personalità limitata e incapace di evoluzione contrasta con la ricchezza e la fluidità di contorni dei personaggi principali: così, ad esempio, il bigottismo monocorde di Miss Kilman contrasta con le mille sfaccettature di Mrs Dalloway. I personaggi “vivi” conoscono i momenti dell’essere, mentre i personaggi piatti sono uomini e donne chiusi nel loro rassicurante egocentrismo e legati alle apparenze.

 

D - Alcuni autori sostengono di scrivere con facilità, mentre a Virginia Woolf la scrittura costava molta fatica, tanto che quando terminava la stesura era addirittura prostrata

 

R - La scrittura per Virginia Woolf è un atto necessario, la cosa più importante da fare: un lavoro molto faticoso che la lasciava esausta, prostrata, bisognosa di riposo e cure mediche. Qui potremmo aprire una piccola e necessariamente imprecisa parentesi sulla salute mentale di Virginia. Purtroppo i contemporanei e il suo stesso nipote e biografo Quentin Bell (figlio della sorella Vanessa) sono estremamente vaghi al proposito: vengono menzionate crisi di un malessere vagamente chiamato “madness” (“follia” – diagnosi postume hanno ipotizzato disturbo bipolare con episodi psicotici ) che in alcune occasioni ha afflitto Virginia, soprattutto in seguito a gravi lutti e dopo l’immane fatica fisica e mentale di scrivere un romanzo; crisi che venivano curate col riposo a letto e in campagna, lontano da stimoli che potessero eccitare la mente – con grande frustrazione di Virginia, che invece adorava Londra e le sue vie brulicanti di vita.  Nei diari leggiamo il suo senso di liberazione alla fine di ogni romanzo. Il 7 febbraio 1931, Virginia annota che ha appena terminato The Waves, ed esprime la sua esultanza e il suo sollievo: “Che sensazione fisica di trionfo e di sollievo! Buono o cattivo che sia, è fatto; e, come sicuramente sentivo alla fine, non solamente finito, ma compiuto, completato; ho detto ciò che volevo”.

 

D - Quale romanzo o racconto preferisci? Ad una persona che per la prima volta di avvicina ai libri di Virginia Woolf che suggerimenti potresti dare?

 

R - Ho letto tutti i romanzi di Virginia Woolf per mio diletto personale ma anche per ragioni di studio, soprattutto Mrs Dalloway (scoperto per la prima volta a diciott’anni, al liceo, e fu amore a prima vista), e The Waves, che è stato l’oggetto della mia tesi di laurea.

Il mio romanzo del cuore rimane Mrs Dalloway, ed è anche il libro che consiglierei a chi si avvicina per la prima volta a Virginia Woolf. In Mrs Dalloway c’è tutto il meglio di Virginia Woolf (tutto ciò di cui ho scritto nelle righe precedenti), ma è ancora un romanzo – sperimentale e innovativo, ma ancora un romanzo riconoscibile in quanto tale.

The Waves è invece un’opera radicalmente sperimentale, che richiede un lettore molto motivato e già familiarizzato con la poetica e lo stile di Virginia Woolf – lei stessa nei diari lo definisce un “playpoem”, un romanzo libero dal tutte le zavorre della narrativa realistica, che raggiunge l’essenzialità e la forza espressiva della poesia.

 

D - Ci puoi regalare alcune righe o un brano che più di ogni altro ti torna in mente, che si lega a te e ti accompagna?

 

R - “Life is not a series of gig lamps symmetrically arranged: life is a luminous halo”

“La vita non è una serie di lampioni disposti simmetricamente: la vita è un alone luminoso.”

 

Grazie Paola per questa chiacchierata.