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Intervista a Camilla Marinoni

Pazza

Camilla Marinoni

#readingwithlove

 

Questo romanzo si presta a diverse letture.

Pazza è la storia di Angela, dell’amore per Emilio, degli anni trascorsi nell’ospedale psichiatrico, della vita in paese negli anni ‘30, di progetti architettonici come la Villa Rotonda, di matrimoni per interesse, dell’amore che fa sognare, di antenati che in qualche modo fanno parte di noi, di ricamatrici che non indosseranno mai quei vestiti così belli. La storia di Pazza ha inizio molto prima della sua scrittura. Camilla non ha ancora dieci anni quando accompagna nonna Ida a trovare Angela all’ospedale psichiatrico di San Martino di Como. Il medico dice a Ida che sua sorella può tornare a casa, è guarita, ma nonna Ida è irremovibile la sorella resterà in ospedale psichiatrico per sempre. Camilla osserva silenziosa quella donna, gli occhi di Angela: il suo sguardo entrerà nella sua vita e non la lascerà mai più. I nostri antenati vivono in noi, alcune volte rimangono silenziosi altre volte invece, ci narrano quelle storie che non hanno potuto raccontare quando erano in vita. Camilla prende molto seriamente questo compito e fa sue le parole di Gustave Flaubert “Quando scrivi di qualcuno fallo come se dovessi vendicarlo”

 

D - Ci si alza una mattina in apparenza uguale a tante altre, si va al lavoro, non sappiamo ancora che quel giorno il destino ci aspetta dietro l’angolo. Appare Ombretta e avrà i tuoi occhi, le tue ricerche, i tuoi lettori. Come mai hai preferito delegare a lei tutto il lavoro che hai fatto tu?

 

R - Durante le ricerche, mi facevo prendere dalle varie emozioni, simpatia o antipatia, mentre il mio intento era di osservare e registrare tutto con occhio critico. Non è stato facile con questo romanzo. Creare il personaggio di Ombretta, mi ha aiutato molto a rimanere obiettiva dalla storia.

 

D - Angela era una ragazza solare che sognava l’amore. Era convinta di meritarselo, pregava la Madonna tutti i giorni, ma nonna Regina continuava a ripeterle che il suo era un sogno impossibile. Era davvero così la vita a quei tempi?

 

R - La vita è così anche in questi tempi. Regina era realistica e pragmatica, aveva avuto una vita molto difficile, giovane vedova con tre bambini piccoli. Aveva provato sulla sua pelle che se si vuole veramente realizzare i propri sogni, si deve lavorare duramente. Non sperare, come nel caso di Angela, di trovare “il principe azzurro”.

 

D - Emilio è il giovane medico del paese, viene da una famiglia di abbienti commercianti. Ha conosciuto l’architetto Elio Frisia e gli ha commissionato la costruzione di Villa Rotonda: un progetto che costerà parecchio. Puoi raccontarci qualcosa di questa costruzione?

 

R - Mi è arrivata notizia che la villa dell’arch. Frisia è stata abbattuta la settimana scorsa. Mi dispiace moltissimo, era un esempio della nostra storia architettonica. Mi rimangono solo le foto. La villa è stata, almeno per me, il monumento dell’amore di Angela ed Emilio. A volte mi piace pensare che è rimasta lì, anche se in stato di abbandono, per aiutarmi nelle mie ricerche. Se non ci fosse stato questo edificio, non sarei mai stata in grado di ricostruire la storia di Emilio, è stata la mia base di partenza. Ora che la storia è tornata alla luce, è stato come se non avesse più senso di esistere.

 

D - Camminando per le strade di Manera Emilio nota Angela e trova il modo di parlare con lei, di conoscerla. L’aspetta all’uscita del ricamificio di Rovellasca, s’incontrano lontano da occhi indiscreti, ma le voci corrono. Diverse persone si sono intromesse in questa storia, ci racconti di loro? Erano davvero preoccupate per Angela?

 

R - Le persone che si sono intromesse erano la famiglia di Angela, erano convinte di farlo per il suo bene. Così il parroco, figura storica ancora molto amata in paese. C’erano delle convenzioni da mantenere, si faceva scandalo a non rispettarle. Il manicomio di S. Martino di Como, come tutti i manicomi dell’epoca, erano pieni di gente che era andata controcorrente. Ma se consideri, ancora adesso, se esci dagli schemi, vieni giudicata strana e bizzarra.

 

D - Angela lavorava come ricamatrice alla Martinetta di Rovellasca, era molto brava, se la ricorda molto bene Rosetta, più giovane di lei di nove anni a cui Angela aveva insegnato come ricamare e che la difendeva dalle compagne più grandi. Ci racconti di Rosetta e dei ricordi che lei ha di Angela?

 

R - Rosetta (ovviamente non è il suo vero nome) l’ho incontrata per caso. Il signor Renzo, storico del Martinetta, l’aveva contattata perché era stata operaia dello stesso laboratorio. Quando le ha mostrato la fotografia di Angela, l’ha riconosciuta. Il nostro incontro è stato commovente, sono stata io a raccontarle che fine aveva fatto Angela. Lei ha vissuto il lutto in quel momento, dopo più di mezzo secolo. Angela era sparita dal lavoro e dal paese, come se non fosse mai esistita. Se chiedeva informazioni, le dicevano di farsi i fatti suoi, oppure avrebbe fatto la fine dell’amica. Non spiegando però dove fosse finita. La ricordava con tanto affetto, ma quando ho cercato di chiederle informazioni sulla storia d’amore con il dottore, mi ha detto che erano storie del passato, non si dovevano rivangare.

 

D - Emblematica la frase che hai scritto pronunciata da Angela: “È il mio destino. Sono nata per ricamare i corredi delle ragazze più fortunate di me.” Una vita fatta di privazioni e sogni, sempre all’inseguimento di ciò che non potrà mai avere. Una rabbia che cresce dentro di lei che la porterà a vivere in un ospedale psichiatrico. Puoi raccontare cosa succedeva a chi era internata? Quali erano le cure a cui erano sottoposte? Effetti negativi o benefici?

 

R - Io non sono un medico, ma lei non era pazza, quindi le cure che le hanno fatto, non servivano a niente. Inoltre non penso che, anche a una persona malata, trattamenti come l’elettroshock abbiano mai dato benefici. Essere chiusa per tutta la vita in manicomio l’ha spezzata, e questo è straziante.

 

D - Angela ha un dialogo quotidiano con il suo angelo custode: a lui racconta la sua storia, il suo dolore. Il dolore dell’anima che non scorda nulla, i ricordi che riaffiorano alla mente con maggior dolore. Gli confida il suo strazio. È convinta che nessuno si ricorderà di lei, sarà come se non fosse mai nata. Un dolore che travalica le generazioni ed è arrivato fino a te. Ci racconti chi è Angela per te? Quanto ti è stata vicina in questa scrittura?

 

R - Angela è stata sempre presente, prima nella mia memoria di bambina, poi nelle mie ricerche. Scherzando, a volte, pensavo quasi “che mi conducesse per mano”. Quando il libro è stato pubblicato, mi è sembrato quasi di sentire la sua soddisfazione. Probabilmente è stata l’antenata a cui sono stata più legata, anche se l’ho vista una sola volta nella mia vita.

 

D - I nostri antenati fanno parte di noi, ci donano qualcosa, ma poi tocca a noi vivere la nostra vita, il nostro tempo. Quanto e a chi pensi di assomigliare?

 

R - Io non credo di assomigliare alle mie ave, ma penso di essere la summa di tutte loro, come ho scritto nella dedica a mia sorella Valentina: “loro ci hanno reso quelle che siamo”. Riportare alla luce la storia di Angela mi ha fatto crescere e maturare.

 

D - Ombretta e Camilla: due facce di una stessa medaglia? Per due destini molto diversi. Voglio ringraziare Ombretta per il ruolo che ha ricoperto, per l’immagine di una scrittrice che non si arrende nonostante le difficoltà e le porte chiuse. E te per averci donato questa storia così intensa. Hai raccontato di Angela, l’hai così vendicata?

 

R - Come ha detto una persona durante una presentazione del romanzo: la prima volta Angela è uscita dal manicomio in una bara; questa volta è uscita a testa alta. Per me è stato importante portarla fuori dal mondo degli Invisibili dove era stata esiliata. Non penso che cercassi vendetta per lei, ma solo che la sua storia ritornasse alla luce e fosse ascoltata la voce di Angela.

 

D - Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

  

R - Sto scrivendo un nuovo romanzo, molto diverso a questo. Sempre però legati alle donne.

 

Grazie per avere risposto alle domande.