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Intervista a Maddalena De Leo

Maddalena De Leo

MARIA BRANWELL – La madre delle sorelle Brontë

Vintage editore

  

Charlotte Brontë riceve dal padre, il reverendo Patrick, un pacchetto di lettere ingiallite dal tempo, scritte tra l’estate e l’autunno del 1812 da Maria Branwell all’Amico speciale Patrick, in esse Charlotte avrebbe finalmente intravisto il modo di pensare che era di sua madre, indirettamente la radice del suo, e in un certo senso avrebbe potuto conoscerne il carattere, riappropriandosi di qualcosa che le apparteneva e che alla soglia dei suoi trentaquattro anni ancora non conosceva.

Un romanzo fatto di fonti, di documenti, di lettere, di sentimenti che attraverso l’immaginazione hanno preso vita donando a Maria Branwell una maggiore e più duratura visibilità. Le lettere che sono all’origine di questo libro sono presenti nella terza parte e possono essere lette per ultime o anche all’inizio come è capitato a Charlotte e immaginare lo stato d’animo di una figlia che, anche se per un fugace momento ha potuto incontrare nuovamente sua madre, morta quando lei aveva solo cinque anni.

 

D – Lei è referente italiana della Brontë Society, consulente editoriale per l’Italia del periodico letterario internazionale Brontë Studies e una delle maggiori studiose del nostro paese. Ci può raccontare com’è nata questa passione?

 

R – Tutto cominciò ben cinquant’anni fa nell’estate della mia seconda media quando, frugando nella biblioteca paterna, mi capitò fra le mani la versione tascabile di ‘Cime Tempestose’, ben conosciuto romanzo di Emily Brontë. Per me, giovane fanciulla già tendenzialmente romantica, leggere il libro fu un fatto immediato. Quella lettura così intensa, intrisa di figurazioni e creazioni dell’immaginazione mi esaltò. Il romanzo, in breve, per me non fu solo un fatto esterno ma diventò, attraverso il tempo, qualcosa di interiore. L’idea Brontë instillata in me dal libro letto in quell’estate non mi abbandonò più. Continuai ossessivamente a leggere tutti gli altri romanzi scritti dalle sorelle, sia in italiano che in un inglese precocemente appreso proprio per quello scopo, e ben presto arrivò la lettura delle biografie, dei saggi critici, degli studi. Un giorno poi, scoprii con grande gioia l’esistenza di una Brontë Society ad Haworth, luogo natale delle sorelle. Logicamente mi feci scrupolo di associarmi e, allora quindicenne, fui la prima italiana e la più giovane appartenente all’associazione, che enumerava invece come membri degli allegri vecchietti. Il mio sogno più grande, in quegli anni, fu di riuscire ad andare ad Haworth per vedere tutto ciò che la mente immaginava ma soprattutto per passeggiare nella brughiera, illudendomi di essere come Emily eterea e immortale, o di trovare in quelle lande solitarie il mio immaginario Heathcliff, forte e tenebroso, oscuro eroe anche byroniano. In breve fui del tutto compresa nella mia idea Brontë: cominciai a scrivere piccoli pezzi e stralci di critica, segno precoce di una profonda conoscenza dell’argomento, critiche ed articoli di giornali e varie.  Mi laureai precocemente con una tesi sperimentale in cui parlavo, per la prima volta, degli influssi shakespeariani sul romanzo di Emily Brontë, e da quel momento in poi, sono diventata nel tempo una studiosa ed esperta brontëana italiana conosciuta in tutto il mondo.

 

D – I presentimenti citati da Maria Branwell sono un modo per lei per spiegare accadimenti successivi, una sorta di avviso per non trovarsi impreparata. Per lei invece che cosa possono rappresentare?

 

R – Partendo dal fatto che la protagonista è nativa della Cornovaglia e che questa è una terra ricca di leggende e di miti celtici, ho voluto dare intenzionalmente alla madre delle Brontё un ‘target’ che ne configurasse subito la provenienza. Dopo aver ascoltato persone del posto ed essermi ampiamente documentata a seguito del mio soggiorno in Cornovaglia, ho ritenuto utile e importante sfaccettare la personalità del mio personaggio con quelle superstizioni e quelle credenze tipiche delle giovani donne di allora, poco valorizzate dalla piatta routine quotidiana loro riservata.  Il mio intento era quello di dare a Maria più spessore e credibilità in connessione con quanto poi scritto dalle figlie, nei cui romanzi immortali molto spesso proprio i presentimenti delle protagoniste (vedasi il sogno profetico di Cathy in Cime Tempestose o quelli reiterati in Jane Eyre) riescono a dare alle vicende narrate il senso dell’ineluttabilità del destino.


D – Ci può raccontare i suoi viaggi in Cornovaglia e nello Yorkshire? È rimasto qualcosa che possiamo trovare nei romanzi delle sorelle Brontë?

 

R – Sinora sono stata otto volte nello Yorkshire e due volte in Cornovaglia. Nello Yorkshire ci sono zone sul mare meravigliose quali Scarborough, Robin Hood’s Bay e soprattutto Whitby con la sua abbazia millenaria e il piccolo porto che costituiscono un’autentica delizia per lo sguardo e per lo spirito. Personalmente però considero Haworth, il villaggio in cui le Brontё vissero per tutta la loro breve vita, come il mio ‘paese d’elezione’ e sono pronta a tornarvi ogni volta che ne ho la possibilità perché le sensazioni che quella zona mi offre con le sue brughiere ancora così intrise dello spirito brontёano sono ineguagliabili. Ho conosciuto durante i miei vari soggiorni tante persone del posto, ho imparato nel tempo i loro modi di fare e di pensare tanto diversi dai nostri, ho visto cambiare nell’arco di quarant’anni luoghi e persone. All’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso gli abitanti del villaggio non erano affatto ospitali perché ancora poco abituati al turismo, mi guardavano con scetticismo e sospetto ed alcuni di loro sembravano incarnare perfettamente i personaggi descritti da Emily. Oggi invece tutto è diverso, l’accoglienza è delle migliori e il sorriso è sempre presente sul viso dei negozianti o degli albergatori di Haworth. La presenza delle autrici sorelle si avverte però ancora in maniera prepotente di sera quando nei dintorni della loro canonica e nei pressi della chiesa con l’annesso spettrale cimitero, volendo avventurarsi nella retrostante brughiera, ci si ritrova nel buio più completo con la sensazione di essere immersi in pieno Ottocento. Il freddo intenso, anche nel periodo estivo, contribuisce poi non poco a rendere l’ambiente spettrale. Sembra di essere proprio personaggi dei loro romanzi!

La Cornovaglia si presenta invece con tutt’altro aspetto. E’ una terra ridente, con un clima gradevole anche se spesso ventoso, popolata da gente ospitale. Ambedue i soggiorni mi hanno visto a Penzance, da dove poi ho visitato i caratteristici dintorni: St. Michael’s Mount (che ho poi descritto nel mio romanzo con l’incredibile alternarsi della marea), Land’s End, la punta estrema dell’Inghilterra da cui si osserva l’Oceano Atlantico, il Minack Theatre, un incredibile teatro di pietra affacciantesi sul mare dall’alto di una collina. Parte del paesaggio, spesso brullo, sono le ciminiere solitarie delle antiche miniere di alluminio, oggi celebrate nella serie televisiva ‘Poldark’ ma assolutamente sconosciute a noi italiani all’epoca del mio primo soggiorno in Cornovaglia nel 2010. Tutto ciò contribuisce non poco a dare l’impressione di vivere in un sogno!


D – Una terra di miti e leggende celtiche che l’hanno sempre affascinata. Può raccontarcene qualcuna che più di altre l’ha coinvolta, l’ha emozionata e perché’?

 

 R – Ebbene, alcune di queste leggende le ho inserite nel romanzo facendole raccontare a Maria, come ad esempio quella del gigante Cormoran divenuto padrone di St. Michael’s Bay, o come quella del fantasma di Mrs Baines aggirantesi proprio nella strada in cui viveva la protagonista del romanzo. Ho avuto modo di approfondire tutto ciò dopo aver acquistato a Penzance dei libri specifici sull’argomento scoprendo anche che in Cornovaglia si dà ancora oggi molto credito all’esistenza di giganti, di fate, di fantasmi e di streghe. Una leggenda che mi è rimasta impressa più delle altre è quella raccontatami da una donna di Penzance al riguardo della cosiddetta ‘Grotta degli Amanti’ (Lovers’ Cove), ove due giovani innamorati si incontrarono per l’ultima volta prima della partenza del giovane uomo per le Indie. La ragazza lo aspettò lì per anni, andando alla grotta ogni giorno, incurante dell’alta marea. Un giorno una donna vedendola lì cercò di venirle incontro aiutandola a districarsi dalle rocce ma, dinanzi ai suoi occhi la ragazza annegò e poco dopo la stessa donna vide due persone che fluttuavano fra le onde sorridendosi sino a sparire in mare. Quando qualche giorno dopo il corpo della ragazza annegata fu ritrovato, si seppe che il giovane innamorato era morto quella stessa notte nelle lontane Indie. Ecco, questa leggenda riproduce proprio quel modo di sentire a cui si ispirarono le Brontё.

 

D – Che cosa le piace degli scritti di Charlotte?

 

R – Chiaramente amo Jane Eyre, che è stato e rimane il capolavoro indiscusso di Charlotte Brontë, un autentico best-seller la cui qualità fu raramente possibile eguagliare anche da parte della stessa autrice che lo ha scritto. Lo testimonia il successo incredibile che lo ha accompagnato da sempre in Gran Bretagna e nel mondo e il fatto che non sia mai uscito fuori stampa dal 1847, anno della sua pubblicazione. Rimane sempre attuale per le tematiche trattate, per la storia coinvolgente e per il carattere indomito della protagonista. Per molti aspetti però preferisco Villette, che assolutamente non ne è da meno, perché alcune sue pagine assumono valori altissimi di drammaticità, superando forse per alcuni aspetti persino lo stesso Jane Eyre. Devo dire però che Charlotte mi attira particolarmente in quelli che sono i suoi scritti giovanili, cioè la vastissima produzione adolescenziale di cui mi interesso specificatamente e che traduco ormai da molti anni, e che va sotto il nome di Angria, redatta spesso a quattro mani con il fratello Branwell con il quale negli anni giovanili la scrittrice aveva una particolare sintonia. Il ciclo di Angria riveste un’importanza grandissima nella produzione di Charlotte perché è il suo apprendistato nell’arte e nella tecnica della scrittura. L’invenzione di una intricatissima saga costituita da nobili dame e signorotti spesso libertini, l’abile descrizione delle loro vicende amorose e del loro carattere servì ad affinare nel tempo le sue doti di scrittrice perché attraverso esse l’autrice poté incanalare le proprie ‘sconvolgenti’ idee e trasformarle in prosa, sentendosi libera di poterlo fare senza la censura di altri lettori al di là del fratello e delle sorelle. Come succede per tutti i grandi della letteratura, autori non ci si improvvisa, e l’esperienza pregressa è il valore intrinseco del successo.

 

D – E che cosa degli scritti di Emily?

 

R – Emily è per me un mito, la fonte primaria del mio perenne ‘amore brontёano’ e come tale è qualcosa di intoccabile e irraggiungibile. Il suo romanzo Wuthering Heights è come un cristallo, plurisfaccettato, lucente e perfetto, e come tale è situato su un leggìo sulla mia scrivania, come una Bibbia. Lo rileggo almeno una volta l’anno dilettandomi ad ascoltare contemporaneamente la versione integrale inglese in audiobook. È  un’esperienza incomparabile che ogni volta mi fa scoprire aspetti nuovi e concetti più profondi contenuti in questa opera immortale. Ma amo leggere e rileggere spesso anche le poesie di Emily, che personalmente considero fra le espressioni più alte della letteratura mondiale per quegli aspetti filosofici che le contraddistinguono. Molte persone non ne conoscono nemmeno l’esistenza, ma i componimenti in francese di Emily, scritti a Bruxelles quando era allieva del professor Heger e da me tradotti vent’anni fa in italiano, offrono una panoramica ancora più ampia per la conoscenza di questa ‘sfinge’ della letteratura inglese. Essi vanno ad approfondire quelle che furono aspetti poco conosciuti della sua personalità e il modo di reagire dinanzi a particolari momenti di vita, descrivono sensazioni e titubanze nei personaggi descritti e definiscono le convinzioni ferree su cui si basò la vita di Emily. Cito in particolare il bellissimo componimento ‘La farfalla’ (Le Papillon) in cui la Brontё ci propone una concezione filosofica dell’esistenza partendo da presupposti hobbesiani e di conseguenza rivelatori di un pessimismo cosmico assoluto, proprio lei che visse un rapporto intenso di simbiosi con la natura. Il componimento si conclude poi con il superamento di tale conflitto e la convinzione che la grandezza di Dio sia l’unica giustificazione di ciò che in apparenza non può trovare una spiegazione razionale.

 

D – La scrittura in forma di diario permette di raccontare sia ciò che accade, che le emozioni, le persone incontrate, i grandi fatti storici e quelli piccoli, i luoghi visitati, i sogni e le speranze, le delusioni e i traguardi, si può anche mentire o meglio immaginarsi in una realtà diversa. Quale forma di scrittura le piace di più?

 

R – Indubbiamente preferisco la forma narrativa del diario, anche se spesso mi ritrovo a leggere romanzi biografici o epistolari. Ritengo che redigere un diario, come ogni ragazza di buona famiglia e con una certa istruzione faceva un tempo, non solo sia un esercizio valido per sé stessi ma possa affinare capacità di osservazione e riflessione spesso ignorate di cui si è inconsapevoli. La regina Vittoria, ad esempio, redasse un diario per tutta la vita. Proporre un romanzo in forma di diario significa avvicinare maggiormente il lettore alle vicende narrate coinvolgendolo emotivamente, gli si offrono cioè apertamente e con fiducia da parte dell’autore sentimenti ed esperienze avvertiti in maniera diversa rispetto al racconto spesso sterile di un narratore esterno che non pronuncia pareri.


D –   Genius loci esiste ovunque o abita solo alcuni luoghi?

 

 R – Sono del parere che il Genius loci non sia sempre presente ma si possa riconoscere solo in alcuni luoghi e nella misura in cui questi furono maggiormente permeati della presenza di chi li abitò o creò con essi un rapporto di interazione particolarmente sentito e forte. Potrebbe sembrare una suggestione ma quando si visita la canonica Brontё, sapendo che lì si svolse la vita di quella famiglia così sfortunata ma allo stesso tempo incredibilmente dotata intellettualmente, è facile avvertire una sensazione di vicinanza allo spirito che contraddistinse i suoi abitanti, in particolare le tre sorelle scrittrici che tanto amarono proprio quella casa. Personalmente ho provato questa emozione non solo lì ma anche in altre luoghi, ad esempio quelli cari a Thomas Hardy nel Dorset (nel suo cottage natale, all’interno di Max Gate, la sua casa di Dorchester) o a Lucca sul lago Massaciuccoli e nella villa di Giacomo Puccini, dove ho avvertito addirittura la presenza di questi due grandi autori distintisi in campo letterario e musicale.

       
D – Quanta ricerca, passione e tempo ha impiegato per scrivere questo libro?

 

R – Dietro quel che viene da me narrato c’è un lungo studio. Avendo io collezionato sin dall’adolescenza qualunque tipo di testo riguardante le Brontё e disponendo praticamente a casa della migliore e più fornita biblioteca brontёana esistente in Italia (la mia ‘Brontё room è spesso meta di pellegrinaggio da parte degli appassionati di queste autrici…), ho potuto con facilità approfondire nel tempo i tanti aspetti storico-biografici che ho narrato. Per me era importante soprattutto la precisione storica dei fatti perché nulla doveva essere falsato e lasciato al caso o alla probabilità. Il mio primo viaggio in Cornovaglia con il soggiorno a Penzance del 2010 ha poi ‘sistemato’ tutto il materiale di cui disponevo perché mi ha dato visivamente l’idea della vita di Maria, dei suoi movimenti e del suo modo di sentire spensierato e libero in un lembo di terra anglosassone incontaminato e baciato dal mare. Mi sono resa conto, vivendo lì per alcuni giorni, del profondo senso di superstizione di cui sono permeati i suoi abitanti e ho approfondito tale aspetto attraverso i numerosi libri acquistati sul posto. Sapevo che tutto ciò avrebbe contribuito, come dicevo prima, a rendere quanto più viva e ‘vivace’ possibile la mia protagonista. La stesura vera e propria del romanzo ha richiesto poi solo sei mesi, un autunno e un inverno, perché avevo già in mente tutto lo schema.


D – Quali sono i suoi progetti per il futuro?


R -
In campo brontёano ho sempre in fieri progetti, saggi, traduzioni di inediti e aspetti originali da approfondire riferiti alle sorelle. Bisogna solo trovare case editrici disponibili e di grande sensibilità come lo è stata la Vintage edizioni!

 

Grazie per avere accettato di rispondere a queste domande.